Trappola assassina
nei boschi delle motoLa convivenza tra contadini, cacciatori e motociclisti è difficile
Il cavo d’acciaio teso tra gli alberi sfregia un podista
LODOVICO POLETTO
VILLARBASSE![Image](http://www.lastampa.it/Torino/cmssezioni/primopiano/200710images/centauro.jpg)
Un filo teso da un albero all’altro, una trappola mortale quasi invisibile, praticamente inevitabile. Se ci sbatte contro un podista finisce con una ferita, grave, se il malcapitato e in bicicletta o in moto va a finire peggio. L’ultimo episodio è accaduto nei boschi di Villarbasse, nella serra morenica dove in tanti vanno a correre tra Rivoli, Grugliasco e Rivalta, un podista che corre e si ritrova con il naso rotto e la faccia sfregiata. «Non ho capito cosa fosse accaduto - dice Gerardo Prezioso - mi sono ritrovato con la faccia piena di sangue, poi me ne sono reso conto. La trappola poteva uccidermi».
Le trappole nei boschi sono spesso una terribile abitudine, ultimo atto di una guerra tra chi contadini e centauri, una lotta costata vite e ferite gravi.
«Se soltanto ci fossero più percorsi autorizzati; se non si rischiasse, ad ogni curva, di trovarsi davanti qualcuno che ti fa una multa, oppure costretti ad affrontare trabocchetti che ti possono anche costare la vita, di gente che fa enduro ce ne sarebbe molta di più». Parola di Fabrizio Ceccot, manager del «Team Jonny» e grande esperto di quel motociclismo che snobba le strade asfaltate e la velocità. E guarda con sufficienza chi, con casco e due ruote, si lancia in autostrada, oppure va a «piegare» sulle carreggiate di montagna. Chi pratica l’enduro no la moto la vive in modo completamente diverso: salta in sella e va in campagna, nei boschi, oppure in montagna. Corse sì, ma per carità: in mezzo alla natura.
Mille e duecento gli enduristi stimati in Piemonte, ma potrebbero essere molti più. Hanno motociclette con pneumatici tassellati, indossano protezioni per braccia, spalle, stomaco e schiena. E si lanciano in sentieri larghi due spanne, in mezzo alle pietraie, oppure ai margini dei boschi. Sono dei giocolieri in sella a due ruote: che saltano, piegano, sgasano. E quando il tracciato è finito girano la moto e tornano a casa sulla statale.
Trial? No, enduro. «Soltanto che questo tipo di pratica sportiva dà molto fastidio. A me è capitato di trovarmi davanti tronchi gettati in mezzo al sentiero oppure assi che sembrano armi medievali. Con chiodi da carpentiere lunghi 20 centimetri e rivolti verso l’alto» dice ancora Fabrizio Ceccot. Se ci finisci sopra addio ruote. Ma può anche finire molto peggio se la barriera di chiodi è molto fitta: addio moto e addio piedi. Il vibram degli stivali serve a poco contro punte d’acciaio acuminate.
E fosse finita lì. A Piacenza, qualche mese fa, un contadino stese un pezzo di filo spinato attraverso un sentiero, ad altezza d’uomo. Ci finì dentro un giovane motociclista. Il cavo gli tranciò la giugulare: morì dissanguato. Un caso isolato? Niente affatto. Chiunque vaghi per boschi in motocicletta di sorprese così ne ha trovate più d’una. Ha avuto a che fare con buche riempite di foglie, con pietre piazzate dietro una curva, con paletti di legno piantati in mezzo al sentiero. «Quei motociclisti disturbano gli animali» dicono i cacciatori. Che spiegano: «Se passano in gruppo, con i motori che urlano, lepri e pennuti scappano tutti. Con quelle moto rovinano l’ecosistema. Loro sì che sono dannosi».
Questione di punti di vista. E di filosofia. «Ma non c’entra niente il modo di vivere a contatto con la natura. Tre motociclette di quelle, e per di più in velocità, fanno danni enormi ad un sentiero dove passano tutti i giorni i trattori. Loro si divertono e noi dobbiamo riparare i danni che provocano» replicano i contadini. E allora, che fare? Ceccot ha la sua ricetta: «Bisogna che le istituzioni si rendano conto che questo sport esiste. E che è molto praticato. Bisogna individuare percorsi adatti allo scopo. Tracciati sicuri, dove viaggiare senza l’ansia di finire in qualche trabocchetto». Dai tronchi in mezzo alla strada ai cavi d’acciaio stesi ad altezza gola. Roba che trasforma l’enduro in una specie di roulette russa.